Le Cronache Lucane

“SOUTH WORKING”, UNA PERICOLOSA ILLUSIONE

Si parla molto di “south working”, ovvero del fatto che molti dipendenti meridionali delle aziende del Nord, in seguito al lockdown, si sono trasferiti al Sud, dove continuano a lavorare, come si dice in gergo, “da remoto”. Questo sta creando una piccola rivoluzione socio-economica, perché le aziende del Nord pagano stipendi che vengono spesi interamente al Sud, facendo registrare al Nord un preoccupante fenomeno di depauperamento demografico nelle aree urbane e un inizio di crisi del comparto immobiliare. Alcuni dicono che coloro che lavorano da Sud e che sono pagati dalle aziende del Nord – poiché il costo della vita al Nord è molto più alto – dovrebbero avere uno stipendio ridotto, perché al Sud si spende di meno. E questo ha riproposto il tema delle gabbie salariali, ovvero della differenziazione di trattamento salariale in base al costo della vita delle aree in cui si risiede. Personalmente sono contrario alle gabbie salariali, perché è vero sì che chi vive in un piccolo paese ha costi minori sopratutto per quanto riguarda l’abitazione, ma al contempo chi vive in un piccolo paese ha molti disservizi e privazioni. E poi il Sud non è tutto uguale: una cosa è il costo della vita a Napoli o a Bari, e altra cosa è il costo della vita a Fardella o a Cutro. Detto questo, il “south working” a me preoccupa, perché in una prima fase farà registrare un aumento demografico e un incremento dei consumi al Sud, ma quanto tempo si può lavorare da Sud per un’azienda del Nord senza condividere con tutto il gruppo di lavoro i progetti, le atmosfere, il clima, ecc.? Penso che prima o poi lavorando a distanza si perda il contatto con lo spirito di un’azienda, tanto da venirne espulsi. E questo potrebbe creare un effetto boomerang nell’arco di qualche anno. Per me dunque il “south working” è solo una pericolosa illusione – come sognare di avere la botte piena e la moglie ubriaca.
diconsoli@lecronache.info

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